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I Bearlè


L’acqua, indiscutibile primaria fonte di vita, è stata, tanti anni fa a Druento, un bene tanto desiderato quanto limitato, come si può ben
comprendere dalla lettura della “Monografica storica e regolamento per l’uso delle acque comunali” edita dal Municipio dell’’allora Druent, senza la “o" finale.
“Druent fu fondata nel 1260 – recita la monografia. Più precisamente: in quell’anno l’accolta di popolazione che erasi stabilita colà, fu eretta a Comune.
Trascorsero circa due secoli, ma la sorte della comunità non solo non prosperava, ma volgeva al peggio; la mancanza di mezzi d’irrigazione ostacolava il benessere e lo sviluppo della comunità, esclusivamente agricola, per modo che l’esistenza di essa si prospettava difficile, anzi, addirittura impossibile. Nel 1451 Druent prendeva la grande decisione che doveva costruire la sua ricchezza e consolidare il suo avvenire: ricorreva al Duca di Savoia”; da qui all’inizio dei lavori di costruzione della bialera, il passo fu molto breve.
L’acqua, tanto attesa, doveva però essere opportunamente convogliata, e si può dire che dall’acqua è nata la figura del “bearlè”, un’appaltatore al servizio della Municipalità, ventiquattrore su ventiquattro (che doveva avere un sostituto, in caso d’impedimento, altrimenti gli eventuali danni prodottisi in sua assenza gli sarebbero stati addebitati), col compito di irrigare, in tempi prestabiliti e seguendo determinati criteri, le varie azienda agricole disseminate sul territorio di Druento.
“Bisognava rifornire ed accontentare tutti nel giro di quindici giorni”, ci racconta il Druentino Giovanni Varetto, che del mestiere del “bearlè” ne sa qualcosa, avendolo svolto per molti anni..
A seconda delle “giornate” di terra possedute (una giornata equivale a 3800 metri quadrati), gli agricoltori avevano diritto ad un’ora e cinque minuti di irrigazione.
In zona Filatoio è ancora visibile una “misura” murata che serviva per la spartizione.
Il bearlè era sempre in servizio, con qualunque tempo a sorvegliare una vastissima area di campi, considerando che la Bealera incomincia a Lanzo.
In questo tipo di attività l’aiuto dei famigliari era spesso determinante, come ricorda il Varetto quella volta che, impossibilitato a camminare, è stato aiutato dalla moglie Anna Carnino la quale, da sola ed in piena notte, aveva sollevato le pesanti paratoie e regolato il defluire dell’acqua.
Il marito Giovanni si era poi scrupolosamente recato sul luogo l’indomani, in motocicletta, l’unico mezzo che potesse condurre, per controllare che tutto fosse in ordine: e si trattava della vigilia di Natale! Fortunatamente ci sono stati anche dei momenti un po’ più “mondani” nella vita dei bearlè; Varetto racconta, infatti, che, trovatosi per lavoro nel parco La Mandria, al tempo in cui nella zona dei “Roveri” sorgeva già la villa di Umberto Agnelli, circondata da quattro “gorilla “ armati e da nove cani da guardia di circa ottanta chili l’uno, era stato ospite di un caffè e di quattro chiacchere con la signora Agnelli, che gentilmente li aveva invitati.

Tornando ai giorni nostri, il contatto con l’acqua è cambiato, racconta un appaltatore, manovratore di paratoie. Queste paratoie, infatti, vanno tenute sotto controllo, aperte e chiuse non solo per l’irrigazione, ma anche in caso d’avversità atmosferiche e precipitazioni abbondanti.
“Le piene ci sono sempre state ma un tempo la gente era più attenta ed indipendente, ed aveva la tendenza a risolvere i problemi da sola".
"Quando le paratoie di solo scarico sono aperte, l’acqua defluisce, inarrestabile, ed i controlli devono essere fatti quotidianamente perché non è infrequente un’ostruzione dovuta a cassette, pedane, ceppi che vanno rimossi subito”.
Se è vero che il contatto con l’acqua è cambiato,è anche vero che Druento, un tempo più piccola, e la Bealera sono cambiate. E con loro il mestiere dei Bearlè, oggi più complicato.
Circa cinquecento anni fa la gente si spostava e compiva il lavoro a cavallo o a piedi. Il letto della Bealera era, originariamente, di un metro e mezzo, poi raddoppiato nel 1600 per alimentare anche i giardini della Venaria.
Niente “metri cubi”, per un mestiere antico come quello dei Bearlè, ma “trabuc” e “coppi”*, antiche misure nate sicuramente ispirandosi alla quotidianità. Al tipo di vita semplice ed estremamente “pratico” dei Druentini, sicuramente riconoscenti a quella Bealera in cui scorreva un’ acqua così incontaminata da poter essere bevuta ed averne sollievo nell’arsura di una giornata di lavoro.

* n.b. “coppo” è la libera traduzione del piemontese “coup”, vale a dire
“tegola”; il coppo è quindi pari ad una tegola, ossia una presa d’acqua di
una mezza circonferenza del diametro di 7,5 cm.

*Per gentile concessione dell'autrice : Micaela Martini


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